La classe operaia che non lavorava. Malamilano

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malamilano

 

“L’uomo odierno passeggia monco con la museruola in un palazzo di miraggi.
A volte, comunque, un cubetto vola contro una vetrina e un giovane corpo si avventa sui frutti proibiti…”

Michel Tournier. Didascalia d’apertura del documentario

 

Malamilano – dalla liggera alla criminalità organizzata

Realizzazione documentario di: Tonino Curagi e Anna Gorio

Regia: Tonino Curagi
Sceneggiatura: Tonino Curagi, Silvano Cavatorta
Collaborazione al soggetto: Silvano Cavatorta
Fotografia: Renato Minotti
Montaggio: Anna Gorio
Musica: Riccardo Tesi, Patrick Vaillant
Canzoni della mala eseguite da: Pelè e Sergio Cesi
Suono: Antonio Cominati
Produzione esecutiva: Paolo Soravia
Coordinamento della produzione: Massimo Lecconi, Elio Vitelli
Editino digitale: Massimo Zambiasi
Elaborazione elettronica del colore: Bruno Lombardi – Olimpus
Mixage: Paolo Latina – AD Music

Interpreti: Primo Moroni, Bruno Brancher, Arnaldo Giuliani, Arnaldo Petronella, Pelè, Luciano Tamara, Sergio Cesi, Armando Radice, Lallo “2 Pistole” (ex banda Turatelo)

Italia – 1997 – 57’ – DVD – Paolo Soravia per Medialogo

Immagini di repertorio provenienti da: Audiovideoteca RAI Radiotelevisione Italiana di Milano. Regione Lombardia Settore Trasparenza e Cultura – Ufficio Attività Audiovisive. Scuola di Specializzazione in Comunicazioni Sociali dell’Università Cattolica di Milano. Biblioteca e Documentazione della Triennale di Milano. Arci Milano. Centro Audiovideo Biblioteca Comunale Sormani di Milano. Produttori Associati. Cineclub Milano. Biblioteca Nazionale Braidense.

Immagine d’archivio tratte da: Come si fa un Grande Giornale Produzione Omnia Film. Gente dei Navigli – Gamb de Legn di G. Guerrasio. Navigli Milanesi di N. Giansiracusa. Una Giornata nella Casa Popolare di P. Bottoni. Il gergo della Malavita di G. Ferrara. La città degli Uomini di M. Gandin. Giorni di Gloria di M. Serandrei e G. De Santis. Milano 1959 Produzione P.C.I. Rocco e i suoi fratelli di L. Visconti. Rapina a Mano Armata di S. Kubrick. Rifili di J. Dassin. Milano o Cara di P. Pillitteri. La Vita Agra – Banditi a Milano di C. Lizzani. La Notte di M. Antonioni. Sabato Domenica Lunedì di A. Giannarelli. Milano Violenta di M. Caiano.

 

Malamilano – dalla liggera alla criminalità organizzata è un superbo documentario realizzato nel 1997 da Tonino Curagi ed Anna Gorio che fa luce su di un fenomeno sociale alquanto interessante, un documentario che attraverso la testimonianza d’una serie di voci di varia estrazione ricostruisce la malavita romantica che operò a Milano dalla fine della seconda guerra mondiale all’epoca del boom (o dello sboom come direbbe Andrea G. Pinketts).
Una malavita che prese il nome di liggera, termine milanese traducibile come “leggera”, ovvero un tipo di criminalità che fondamentalmente non agiva con violenza né tanto meno con armi, una criminalità estemporanea e di sussistenza che vide compiersi il proprio ciclo di vita con la rapina “del secolo” di via Osoppo del 27 febbraio 1958 soppiantata poi da azioni più violente ed organizzate che il cinema sfrutterà (oltremodo) spettacolarmente con quel genere chiamato poliziottesco.

«Lo spirito del documentario è quello di raccontare i vari punti di vista». Così Tonino Curagi illustra il metodo utilizzato nella realizzazione di Malamilano e già dalle prime sequenze dei cinquantasette minuti della sua durata ci si accorge che l’idea che lo sorregge è appunto quella di raccontare un periodo attraverso la viva voce di alcune persone che quell’epoca l’hanno vissuta. Il narratore principale di questa storia poco conosciuta è Primo Moroni, un uomo dotato d’un eloquio importante, capace di dipingere un affresco d’un epoca lontana con parole chiare. Primo Moroni fu un personaggio importante per quella che ad altre latitudini si definirebbe la scena underground della città, fondatore d’uno dei luoghi contro-culturali più preziosi: la libreria Calusca, oggi chiamata City Light (situata in via Concetta). A Moroni ed alla sua visione storica della questione fa da contro canto Bruno Brancher che invece negli anni cinquanta era a tutti gli effetti un operatore attivo di questa leggendaria e romantica mala.
La romanticità della liggera è forse il concetto principale dell’opera perché nell’incrociarsi dei vari punti di vista ciò che emerge è l’esistenza d’un suo codice etico che non prevedeva l’uso della violenza, ma che era invece motivato essenzialmente dall’estrema povertà che ammantava la città (e l’Italia intera) alla conclusione della seconda guerra mondiale. L’epoca di cui si parla è quella appena precedente al boom degli anni sessanta, poco prima dell’arrivo dei massicci flussi migratori che dal sud si riversavano nelle grandi fabbriche del nord alla ricerca d’una dignitosa occasione di vita. Questa malavita, che non sparava colpi e che non uccideva, era cresciuta in epoca fascista ed era passata per i tumultuosi anni della guerra in una città martoriata dai bombardamenti anglo-americani e violentata dalla disperata furia fascista e dalle rappresaglie naziste, una città invasa dalle armi e dalla violenza. Gorio e Curagi non perseguono alcuna tesi pre-costituita nel loro lavoro ma cercano quella visione convergente di stampo sociologico che emerge dai discorsi delle persone intervistate; è come se tutti gli attori di quell’epoca convenissero sul decadimento etico e morale d’un paese che dagli anni sessanta in poi subì la sbornia del miglioramento diffuso delle condizioni di vita, concordando in particolar modo sulla scomparsa, a seguito d’una contaminazione con i valori borghesi del benessere e degli status simbol, e la trasformazione subita da quella parte di società che costituì il vero motore dei miglioramenti del dopoguerra: la classe operaia. La malavita di fatto si contrapponeva all’etica del lavoro, riversando la propria speranza di miglioramento nell’idea di risolvere ogni problema con il colpo della vita, con quella ruberia in grado di farti uscire dalla miseria e dalla condanna al lavoro quotidiano in qualche catena di montaggio d’una grande fabbrica. La fabbrica e la strada, erano le due facce d’una stessa medaglia, due modi diversi ma convergenti di vivere il presente, due modalità di vita che si rispettavano vicendevolmente e che raggiunsero il loro punto di maggiore empatia proprio con “la rapina del secolo” avvenuta in via Osoppo il 27 febbraio 1958. Una rapina milionaria ad un furgone porta valori, durante la quale non venne sparato un solo colpo e che fu commessa da una banda vestita con delle tute blu, la classica divisa del lavoratore.
A pochi giorni dall’arresto degli esecutori materiali di questo leggendario colpo Indro Montanelli, sulle colonne del Corriere della Sera, scrisse: «Ufficialmente, sì, tutti scrivono e proclamano che sono contenti, anzi entusiasti del fatto che i criminali siano stati smascherati in modo da togliere a chiunque la voglia di imitarli. Ma, sotto sotto, senza osare dirlo, o dicendolo solo a bassa voce, la maggioranza tifava per i rapinatori […]. Quello scontro, calcolato alla frazione di secondo, fra l’auto e il camion, per distrarre l’attenzione dei passanti, e quell’assalto al furgone, rapido ed esatto da sembrare radiocomandato, aveva mandato in visibilio gli italiani».

Girato nel 1997 Malamilano registra anche la città di quell’epoca, permettendo allo spettatore di osservare i cambiamenti intercorsi, le modificazioni (poche) urbanistiche e più in generale, attraverso l’abbondante uso di materiale d’archivio, le trasformazioni avvenute dagli anni cinquanta ai giorni nostri. Molto materiale proviene da alcune delle opere principali di cinema documentario dell’urbanistica moderna, veri e proprio oggetti paradigmatici della documentazione sul/del contemporaneo assolutamente poco conosciti dal pubblico ma fondamentali in ambito specialistico; mi riferisco in particolare a Una Giornata nella Casa Popolare di Piero Bottoni (1933) e La città degli uomini di Michele Gandin (1954). Curagi e Gorio, inconsapevolmente allo stesso modo d’ogni produttore d’immagini in movimento che utilizzi un set reale, portano in scena la Darsena, i Navigli, la Barona ed altri angoli della metropoli che già si stava trasformando dal farsi bere all’essere bevuta e questo aspetto rappresenta, fra le altre cose, uno dei caratteri maggiormente godibili di questo lavoro.

Malamilano è questo e molte altre cose ancora. Vi rimando dunque alla sua visione che consiglio assolutamente.

I realizzatori
Tonino Curagi ed Anna Gorio (che intervisteremo per il prossimo numero di Rapporto Confidenziale) sono fra i più importanti documentaristi italiani. Il loro lavoro, iniziato negli anni ottanta, si caratterizza per la capacità di raccontare storie spesso marginali della nostra società attraverso uno stile assolutamente asciutto ed anti-spettacolare che privilegia la narrazione diretta, alla ricerca d’una interpretazione del reale vissuto come dato proteiforme.

 

Fonte: http://www.rapportoconfidenziale.org

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