Parco Lambro 1976 e la falsa utopia del proletariato giovanile

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Negli anni '60 e '70 del Novecento l'opposizione giovanile al pervasivo sistema di potere delle cosiddette “democrazie occidentali” assunse forme ampiamente diversificate. Il 1964 segna una data importante sia negli USA, con la nascita del Free Speech Movement presso l'Università della California a Berkeley (che trovò il suo principale animatore in Mario Savio), sia in Europa, con l'inizio delle manifestazioni dei Provos in Olanda. L'inevitabile insofferenza giovanile al potere costituito continuò a manifestarsi variamente, passando attraverso la Summer of Love di San Francisco nel 1967, il “mitico” maggio francese del 1968 e le successive forme di aggregazione e ribellione. I grandi pop festivals (Monterey '67, Isle of Wight '68, Woodstock '69) sono rimasti a lungo un punto di riferimento essenziale nell'immaginario di tanti giovani ed ormai-non-più-giovani. E' del tutto evidente che mescolare in un unico calderone tutti gli eventi e movimenti rapidamente menzionati nelle righe precedenti è oltremodo rischioso. Il “movimento” era un mare magnum composito, costituito da individui dalla variegata estrazione politica e culturale, con posizioni non di rado tra loro antitetiche aventi come unico denominatore comune una generica aspirazione a “cambiare il mondo”. Il testo di Revolution dei Beatles (canzone pubblicata nel 1968) costituisce un esempio illuminante di una certa dialettica interna al mondo giovanile: Lennon prende decisamente le distanze da una sinistra rivoluzionaria marxista-maoista, dicendo che “tutti noi vogliamo cambiare il mondo”, ma che quando si parla di distruzione, di dare soldi a “gente le cui menti odiano” o di “portare in giro foto del presidente Mao”, lui non può essere della partita.

Se nel resto del mondo occidentale i gruppi politici rivoluzionari con un progetto più o meno coerente di rivolgimento sociale sono per lo più rimasti confinati a frange isolate, in Italia si è avuta in quegli anni una tendenza apparentemente contraria. La questione della vera o presunta politicizzazione dei giovani italiani è stata ampiamente dibattuta, e non è questa l'occasione per una dettagliata disamina del fenomeno. Chi ha vissuto quel periodo ricorderà come fosse prassi comune chiamarsi reciprocamente “compagno/a” non solo nel ristretto ambito di un dibattito politico in una fumosa sezione di partito, ma in un qualunque contesto sociale giovanile, si trattasse di un concerto rock o di un'assemblea scolastica. Questo coinvolgimento della dimensione politica nella vita quotidiana si esprimeva non solo nell'abbigliamento e nel gergo, ma anche nella scelta di immagini e simboli politici che fossero rappresentativi della propria appartenenza, il più ovvio dei quali era indubbiamente la falce ed il martello.

GONG

L'immagine di copertina del numero di Settembre 1976 del mensile GONG mostra una rappresentazione del noto simbolo comunista realizzata fantasiosamente con lattine di birra. Nello stesso anno, durante un viaggio in Italia, Andy Warhol fu particolarmente impressionato dalla estrema diffusione dei simboli comunisti nei graffiti urbani, ed elaborò la serie di immagini denominata Hammer and Sickle.

Warhol

Warhol aveva compreso come quei simboli stessero perdendo la loro forte connotazione politica, per diventare icone pop, non dissimili dalle scatole di minestre Campbell, da Marilyn e da Mao. Detto per inciso, è paradossale che questa operazione di svuotamento del significato politico della simbologia comunista abbia attirato su Warhol e sul suo collaboratore Ronnie Cutrone le poco benevole attenzioni dell'FBI (http://edu.warhol.org/aract_hamsick.html).

La già citata copertina di GONG riporta nel sommario il titolo: “DOV'E' IL PROLETARIATO GIOVANILE?”. Ma cosa significava questa domanda (forse oggi incomprensibile), e perché porsela proprio nel 1976?

Le “feste del proletariato giovanile” nacquero come continuazione dell’esperienza dei festival di Re Nudo (organizzazione “alternativa” guidata da Andrea Valcarenghi) che si erano svolti a partire dal 1971 (il logo del festival richiama evidentemente Woodstock).

Re Nudo

Dal 1974, il festival di Re Nudo diventa Festa del Proletariato Giovanile e la manifestazione si svolge al Parco Lambro di Milano. La stessa denominazione si avrà nelle successive edizioni di Parco Lambro 1975 e 1976, ma anche per il festival di Licola (Napoli) del 1975. Tuttavia, manca una chiara definizione di questo nuovo “soggetto politico”. La VI edizione della Festa, Lambro 1976, è ricordata unanimemente come un evento disastroso. Il cantautore Gianfranco Manfredi la ricorderà con la canzone dal titolo emblematico “Un tranquillo festival pop di paura”. In sintesi, la cronaca: un numero di partecipanti ben superiore alle attese (tra le 200.000 e le 400.000 presenze secondo le varie stime), una straordinaria incapacità gestionale, la mancanza di strutture e servizi, la pretesa di far passare come “cultura alternativa” anche fenomeni sottoculturali, l'oggettiva impossibilità di controllare una massa enorme di persone che comprendeva anche spacciatori di eroina e provocatori professionisti o dilettanti, gettarono nel caos l’intera manifestazione, che ovviamente fu l’ultima del suo genere. La descrizione fatta da un altro partecipante, l’autore di fumetti (e oggi scrittore) Filippo Scòzzari è particolarmente sapida e colorita:

26-27-28-29 giugno. Concorso di popolo fuor di ogni previsione, ma non fu questo il delitto. «Re Nudo» aveva un notevole mass appeal, e poi la gente non aveva nulla da fare se non pensare alla propria brutta sfiga, l'estate era tosta, così andiamo tutti a far quattro salti, dài. Per quel che costa...

Il delitto fu appunto non accorgersi che il popolo renudista era annoiato, arrabbiato, frustrato, povero e fuori di testa, e chiuderlo tutto in un campo di concentramento al cromo era come stivare trenta cavie un bel po' su di giri in una scatola da scarpe, shakerare e poi stare a vedere che cosa succede.

Tuoni fulmini e kasino, ecco cosa successe, innescati dalle due lire di biglietto che bisognava pagare all'ingresso.

Sprangate tra gruppi. Espropri nei supermercati vicini. Polizia. Lacrimogeni. La barba nera di Gigi Noia, kapetto dei servizi d'ordine. Eroina. Furti tra compagni. Dibattiti assurdi tra chi ha soldi e chi no, e su perché li ha o non li ha, e di chi è la colpa. Scazzi sui prezzi dei panini. Musica pietosa, tammurriate di gruppi impegnati napoletani, altro che Doors. Fu assalito un camion frigorifero della Motta pieno di polli, lasciati poi nei fossi e alle mosche perché troppo congelati. Caccia al frocio. Caccia allo spacciatore. Caccia alle donne che andavano a pisciare e a cagare, seguite di nascosto. Sulla collinetta di fronte alle buche delle latrine si riunirono in cinquecento a urlare “vogliamo la Figa”.

(da: F. Scòzzari, Prima pagare poi ricordare. Coniglio Editore, Nuova Edizione Riveduta, 2007)

Parco Lambro

Scòzzari (cerchiato) a Parco Lambro con i protagonisti dei girotondi http://mariopischeddainmovement.blog.tiscali.it/2009/07/31
/io_c_era_2001451-shtml/

Al di là della cronaca, che si può facilmente ricostruire con il numeroso materiale reperibile in rete (tra cui il film “Nudi verso la follia” http://www.youtube.com/watch?v=4tK4D8fo6Qg), Lambro ’76 segna inevitabilmente anche la fine del concetto indistinto di “proletariato giovanile”. Due frammenti dal testo della già citata canzone di Manfredi ne sono il più definitivo degli epitaffi (anche le rime zoppicanti e forzate fanno parte della mediocrità distintiva di una certa parte del “movimento”):

[...] E vuoi vedere in faccia / il proletariato giovanile / perché è lui l'invitato / che doveva venire / ma senti già nell'aria / una strana vibrazione / che nasce dai feticci / vestiti da persone. […] Si sta sfasciando tutto / persino la Teoria / perché il Nuovo Soggetto / pare che non ci sia / e se l'espropriazione / significa qualcosa / è che la nostra vita / è diventata cosa.

I frammenti di registrazioni delle assemblee spontanee pubblicati nel disco-documento “Lambro” dimostrano un miscuglio di ingenuità e pochezza culturale che fa quasi sorridere.

Parco Lambro

Parco Lambro

Un esempio (traccia 5 del lato 2):

[voce maschile con marcato accento lombardo] Questo festival è stato una merda, parliamoci chiaro, merda di quattro parole, e andava a finire in una merda. Ora, il momento qualificante di questo festival è questa assemblea e dimostra che qui c'è della gente che è venuta e ha fatto dei casini di chilometri e che magari viene qui e sta quattro giorni e non ha tanti soldi e viene qui per parlare, non viene per sentire della musica né tanto nemmeno viene qui a sentire della musica organizzata preorganizzata e messa dall'alto, no? Ma viene qui per discutere, per parlare e per gestire in prima persona questo momento importantissimo. [voce dal fondo: vogliamo la musica!] [breve pausa]. Ecco, davanti ai fatti che sono successi oggi, uno che dice “vogliamo la musica” dimostra una totale incoscienza politica, scusa compagno, anzi!

Naturalmente il fallimento di Parco Lambro '76 venne utilizzato da certi media come una riprova di quanto i “capelloni” fossero brutti, sporchi e cattivi (e con la disdicevole abitudine di spogliarsi per fare girotondi), come riportato in un editoriale non firmato di GONG (numero di Luglio-Agosto 1976) dal titolo “Contro l'alternativa della miseria”, in cui si cerca però anche la possibilità di tracciare un percorso differente:

GONG

Negli ultimi giorni di giugno abbiamo vissuto in tanti (in troppi anche) la disastrosa esperienza del Parco Lambro e il primo desiderio di tutti è quello di non ritrovare mai più certe atmosfere, certi «modi di stare insieme», certi servizi d'ordine, certe «disorganizzazioni», certi volti, certe vibrazioni... D'altronde non vogliamo neppure unirci al coro degli apocalittici superpagati, che dalle colonne della stampa borghese lanciano vibranti segnali del loro sdegno (pari solo alla loro ignoranza), ammucchiando sotto i rifiuti del Lambro tutto quello che può avere il sapore di cultura giovanile e alternativa. Certo che non è facile decidere se si può usare ancora in un senso corretto e funzionale un termine come «alternativa». Certo sono stati troppi gli episodi di questi ultimi anni che hanno spinto la gente ad identificare l'alternativa con la miseria non solo di mezzi ma anche di proposte culturali e di comportamento. Ciò non toglie che, in un'ottica magari troppo modesta, qualcosa di utile e di unico recentemente si è mosso (a Milano ma anche in molti altri centri grandi e piccoli), testimoniando un fiorire di prospettive concrete e di tentativi fragili ma coraggiosi che hanno dimostrato come l'appropriazione culturale non si identifica necessariamente con il teppismo e come le feste renudiste [...] siano ormai soltanto dei patetici aborti revivalistici, gesti senza prospettiva storica che ingigantiscono gli equivoci di un passato mitico e l'inetta nostalgia di un hippismo (riverniciato politicamente con gli slogan tipo «falce e spinello»)...

L'editoriale di GONG continua con una pars construens la cui portata appare oggi molto significativa, proprio perché queste spinte propositive sono state (volutamente e colpevolmente) sepolte sotto le macerie di Parco Lambro e delle congeneri vuote aggregazioni folkloristiche:

Alla ricerca dei pochi reali sentieri dell'«alternativa», GONG aveva organizzato, poco prima delle elezioni, un dibattito tra i giovani rappresentanti di molte forze della sinistra sul tema (estremamente attuale) della organizzazione dei circuiti musicali; e d'altra parte, aveva intervistato due autorevoli rappresentanti della politica culturale del PCI (Aldo Tortorella e Luigi Pestalozza), per verificare i programmi di un partito che, davanti al pur scontato successo elettorale e alle sempre più imminenti responsabilità di governo, deve oggi sentire necessariamente il bisogno di definire una linea politica culturale aggiornata e sensibile agli impulsi più vitali espressi dalla base operaia e giovanile. E' appunto in questa prospettiva dialettica che si possono ancora costruire degli spazi di alternativa culturale: da una parte un grande partito di classe che vinca le lentezze burocratiche e rinnovi gli spazi istituzionali, dall'altra un movimento di avanguardia che rifiuti qualsiasi ghetto e che prenda coscienza della sua creatività per incanalarla in iniziative concrete che isolino definitivamente la confusione, il dilettantismo, la strumentalizzazione, la violenza, la miseria culturale e organizzativa.

Sarà una strada ancora molto lunga e costellata di nuove trappole. Ma è già un sintomo positivo che durante il dibattito promosso da GONG si sia cominciato a parlare seriamente di un centro di studi e di coordinamento e di una specie di agenzia impresariale realizzata unitariamente da giovani quadri delle forze di sinistra. Ci risulta che la discussione su tali proposte sta concretamente procedendo verso uno sbocco pratico: sarebbe già qualcosa di importante, in grado di contribuire a concentrare e confrontare maggiormente le idee, ma anche a decentrare e moltiplicare le iniziative corrette.

Ma le speranze e le attese di costruire un circuito culturale realmente alternativo furono frustrate da una netta chiusura verso tutto ciò che i giovani “extraparlamentari” erano in grado di proporre, anche e soprattutto da parte di quelle forze politiche da cui sarebbe stato lecito aspettarsi maggiore sensibilità verso le migliori istanze della parte migliore di quel mondo giovanile che, dapprima isolato culturalmente, fu poi combattuto addirittura militarmente meno di un anno dopo, nel Marzo '77 a Bologna, determinando la fine di una stagione che avrebbe potuto portare risultati ben diversi da quel “riflusso nel privato” degli anni '80, vero substrato nutritivo ed anticamera del ventennio che ancor oggi stiamo vivendo e che ancora, drammaticamente, non riusciamo a scrollarci di dosso.

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